Skip to content

Parole troppo tristi

Cominciare è sempre la parola più complicata, il pensiero più intrigante e complicato, la metafora più usata, il sogno dei dispersi, il sonno dei mediocri. Sognare senza un inizio sembra non essere sognare, e il batticuore del rumore di tasti schiacciati, la paura della non ispirazione, la ricerca di un mio sorriso finalmente. E sono, urlo, mi agito per la gloria delle pantofole usate, per l’abitudine dei pregiudizi altrui. Se potessi ricominciare davvero, scegliere, lo farei da tanto tempo fa, da un’avventura in meno e non mi negherei. 

Ma non si può più giocare. Se chi bara vince la definizione pubblica di me stessa. Il trucco c’è ma non si vede. E l’importanza di gesti e di parole per rimediare già si perde mentre ci penso. Un’aria che si fa crepuscolare mi dice che non c’è niente da raccontare, niente da riaprire e scandagliare e così teneteli lì i vostri pensieri sempre lì esposti al sole, sì sì ho capito. Ma non si muore, non è reale quel dolore, l’ho visto troppe volte poi finire.

I manifesti dietro gli autobus che non alleviano la coda del’ attesa, inusuali canestri da tre punti, un ragazzo che sillaba scocciato una frase a un anziano e si sente cattivo per la non pazienza, una bilancia che ho truccato mentre dormivi, la presunta  poesia delle bollicine nell’acqua frizzante, vorrei conoscere.

Io vorrei conoscere: il vero significato dei diversi fiori, saper riassumere in tre righe tutti i tipi di religioni, sapere davvero da subito quando e cosa è stato l’Illuminismo, le frasi di alcuni libri a memoria, non macchiare le maglie bianche, conoscere il nome dei monti e la geografia tutta, pesare con le mani e anche le parole. 

E adesso è come andare in macchina e dover guardare sempre dal finestrino retrovisore perché si ha paura che quello che ti insegue all’ improvviso accelleri e ti sbarri la strada le venature nelle emozioni non hanno il tempo di rottura del vetro. Le rotture dei vetri con un calcio di pallone cambiano lo spessore del danno a volte.